Tipica Food & Art mostra collettiva

dal 16 novembre 2019
Promozione e organizzazione
GAL SEB – Gruppo di Azione Locale del Sud Est Barese
Direzione artistica e curatela
Lia De Venere
Progettazione e gestione del progetto
Luciano Perrone
Gestione amministrativa
Arcangelo Girone
Coordinamento organizzativo e comunicazione
Francesco Pasculli
Content Editor
Valentina Gigante
Ufficio stampa e comunicazione
Creativity Communication Labs
Con il supporto di
Galleria Cattedrale di Lucilla Tauro – Conversano
Il progetto TIPICA FOOD&ART rientra nel Programma straordinario 2018 in materia di Cultura e Spettacolo della Regione Puglia – Assessorato Industria turistica e culturale Dipartimento Turismo, Economia della Cultura e Valorizzazione del territorio – Sezione Economia della cultura.

La proposta dell’Associazione ETRA E.T.S. di chiedere ad alcuni artisti di interpretare i prodotti tipici di alcune località della provincia di Bari è stata accolta con entusiasmo dal GAL Sud Est Barese, a testimonianza dell’apertura dell’ente a inedite e in fin dei conti efficaci modalità di approccio alla promozione dell’area territoriale in cui opera.

L’arte contemporanea da tempo riflette sui molteplici e non sempre rassicuranti aspetti dell’orizzonte quotidiano, non limitandosi alla loro pura descrizione, ma ponendo in luce le complesse dinamiche del mondo contemporaneo, di volta in volta puntando l’attenzione sui mutamenti epocali, sulle urgenze sociali, in molti casi ponendosi in attiva relazione con il passato o allargando lo sguardo sul futuro.
E quanto hanno fatto con le loro opere i sei artisti coinvolti nel progetto, realizzando dei lavori in cui quanto hanno reso visibile, se a una parte sembra rendere un semplice oggettivo omaggio ai prodotti tipici di alcune località, in realtà contiene in filigrana allusioni a situazioni di diverso genere nelle quali siamo spesso più o meno consapevolmente ogni giorno coinvolti.

Con l’installazione Progresso, presso la Pinacoteca Paolo Finoglio del Castello di Conversano, Dario Agrimi ha compiuto un•acuta riflessione sul linguaggio con un’insegna che sembra soltanto pubblicizzare la vendita di ciliegie; negli scatti riuniti in Grappoli di luce, presso il Museo Civico Archeologico di Rutigliano, Salvo d’Avila ha riletto con modalità attuali il tema della natura morta, al tempo stesso collegandosi alla storia di un genere importante della pittura del passato; in Le parole e i pesci presso il Castello Angioino di Mola di Bari, Massimo Ruiu – in un commovente scambio simbolico – ha messo in bocca ai pesci -muti per natura – le parole di chi in circostanze diverse è scomparso nelle profondità marine.
La mostra collettiva che conclude il progetto vede insieme nella Galleria Cattedrale di Conversano, oltre ad alcune opere di Agrimi, Ruiu e D’Avila, anche quelle di tre giovani artiste selezionate attraverso una call: Mariantonietta Bagliato con i suoi enormi grappoli d’uva in tessuto, Cristina Mangini con una serie di disegni che sintetizzano la vita della ciliegia, Anastasiia Morozova, che nel trittico raffigurante dei pesci evoca lo splendore dei mosaici bizantini.

Lia De Venere
Direttrice artistica del progetto e curatrice

Una tira l’altra
Lia De Venere


Il dubbio è uno dei nomi dell’intelligenza.
Jorge Luis Borges

Anche questa volta Dario Agrimi ci induce ad andare oltre le apparenze, insinuando nella nostra mente – attraverso l’ironia – il salutare seme del dubbio. Lo fa con un’opera che sembra ispirarsi agli strafalcioni linguistici spesso presenti nei cartellini esposti sulle bancarelle dei mercati ortofrutticoli, cui tuttavia non bada quasi nessuno, perché è la qualità e, di conseguenza, il prezzo di frutta e verdura che interessa ai compratori, non la grafia corretta del nome di un varietà di arance o di fagiolini. Facendo ricorso – come in altri casi in passato – alla complicità della parola, Agrimi indirizza la nostra attenzione sul fatto che in italiano termini diversi hanno una pronuncia molto simile (non uguale, si badi bene!), dando all’insegna luminosa, approntata per l’omaggio a un prodotto legato alla città di Conversano, una funzione particolare. Il consiglio a chi guarda è quello di leggere (ed eventualmente rileggere) ad alta voce e scandendo le sillabe ciò che l’artista ha scritto in  rosso. E cercare di individuare gli errori che albergano nelle due parole. Sono due? Sono tre? Basta andare sul web e i nostri dubbi in proposito saranno fugati. Sapremo qual è la grafia corretta al singolare e al plurale del nome del frutto in questione, ma avremo anche la soddisfazione di sapere che nei diversi dialetti usati dalle nostre parti (ma anche in altre aree del centro e sud Italia) il nome dei piccoli deliziosi frutti rossi molto amati da bambini e adulti e che da maggio per un breve periodo abbondano nei mercati e sulle nostre tavole, è ancora lo stesso dato dai nostri lontani antenati (in latino cerasum, neutro singolare, cerasa al plurale).

DARIO AGRIMI

Atri (TE), 1980. Vive e lavora a Trani

Artista eclettico, spazia dalla pittura all’installazione prediligendo anche la fotografia, la scultura e il video. Le sue ultime sperimentazioni sono il frutto di una ricerca maniacale volta alla perfezione, che mette in scena un iperrealismo che amplifica le emozioni e riduce la distanza tra realtà e finzione. Ha tenuto diverse mostre personali e partecipato a numerose collettive in Italia e in alcuni paesi europei. Le sue opere sono presenti in collezioni italiane e all’estero.

Uve (2018-19)

La ricerca di Mariantonietta Bagliato, prende spunto dall’immaginario delle fiabe, dalle figure del mito, così come dagli elementi della natura e dall’orizzonte quotidiano. Le storie che confeziona con sculture, collage, installazioni, performance, riescono ad affascinare piccoli e adulti, suscitando prima curiosità e poi stupore, Usando stoffe di ogni genere, in tinta unita o a fantasia, che cuce a macchina e spesso imbottisce, Bagliato crea degli oggetti morbidi, spesso di grandi dimensioni, che sembrano invitarci a toccarli e persino ad abbracciarli. Una spiccata attitudine spettacolare accomuna le sue opere, che quasi sempre colonizzano lo spazio in maniera pervasiva, suscitando nell’osservatore immediata sorpresa e non di rado una certa inquietudine di fronte allo scarto dimensionale, alla reinvenzione surreale delle forme, ai colori spesso non realistici. Come nei grandi grappoli d’uva presenti in mostra, che nell’alternanza di acini multicolori di lana, cotone, pizzo, seta, tenuti insieme da fili neri, possono rimandare la mente di chi li guarda a qualcuna delle fiabe conosciute durante l’infanzia. LDV

MARIANTONIETTA BAGLIATO


Bari, 1985. Vive tra il capoluogo pugliese e Praga.

La sua ricerca artistica è influenzata da un immaginario che trae le sue origini dal teatro di figura, un lavoro caratterizzato da un uso sistematico di tessuti utilizzati come codici visivi, trasformati e modellati in sculture, installazioni e disegni cuciti. Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bari; attualmente è docente di Discipline grafiche e pittoriche. Ha tenuto diverse personali e partecipato a numerose collettive, nazionali e internazionali.

Grappoli di luce

La fotografia obbedisce al tempo e lo fulmina; sanziona
una perdita e vi sostituisce un simulacro immortale.

Gesualdo Bufalino

Salvo d’Avila fotografa frutti, ortaggi, fiori riuniti in spazi ristretti, estraendoli dal buio con un fascio di luce o immergendoli in una luminosità abbagliante. A ispirarlo gli esiti più significativi della storia della natura morta, da cui mantiene tuttavia la necessaria distanza, pur dichiarando nei titoli il proprio debito nei confronti dei maestri del passato.
Ad accomunare i suoi scatti nessun gratuito virtuosismo, ma una palese sobrietà formale, una ricercata chiarezza compositiva, un’attenzione assidua al dettaglio, che conferiscono alle immagini forte incisività.
Tra le opere in mostra, in cui è sempre presente l’uva, alcune rendono omaggio a Juan Sanchez Cotán (1560-1627), il pittore spagnolo autore di originali nature morte, in cui ortaggi, frutti, selvaggina e altri alimenti sono sospesi all’interno di nicchie con l’ausilio di fili di spago.
Se le foglie accartocciate sembrano alludere al trascorrere ineluttabile del tempo, alla caducità dell’esistenza umana, come nella vanitas, quel tipo di natura morta diffuso nel secolo XVII, che ricordava attraverso l’allegoria la precarietà di ogni cosa terrena, è certo invece che alle composizioni di d’Avila manca qualsiasi intenzione moralistica.
Affabili e insieme dense di significato, le sue nature morte in realtà si fanno emblemi della vitalità della natura, del suo continuo rigenerarsi. In ciò, non solo ricollegandosi al termine stilleven (vita ferma), con cui in Olanda a metà del XVII secolo si definirono le composizioni con soggetti inanimati, ma anche facendo tacito riferimento alla capacità della fotografia di catturare l’attimo e di conferirgli lo stigma della durata.

SALVO D’AVILA

Brindisi (1968). Vive e lavora a Roma.

Salvo coltiva la passione di famiglia per le arti visive, specialmente per la pittura, avvalendosi di un mezzo – la macchina fotografica – le cui basi tecniche consolida presso la Scuola Romana di Fotografia. I generi nei quali principalmente si cimenta sono il ritratto e la natura morta. Ha tenuto diverse mostre personali in Italia presso gallerie private e istituzioni pubbliche: Le Muse, Andria (2014) – Borgo San Marco, Fasano (2017 e 2018) – Biblioteca storica nazionale del Ministero delle Politiche Agricole, Roma – Ex Convento di San Francesco della Scarpa, Polo Museale della Puglia, Bari – Museo Diocesano, Velletri (2018) e all’estero presso gli Istituti Italiani di Cultura di Stoccarda (2015), Amburgo (2016) e Lisbona (2017).

Processo naturale (2019)

Da due anni Cristina Mangini lavora a un ciclo di opere intitolato Around, costituito da serie di pastelli su carta, raffiguranti oggetti – sedie, biglie di vetro, scatole, coltelli, utensili domestici, sacchi per l’immondizia, soldatini, matite, cacciaviti, bastoni, scacchi, ma anche germogli, rose, piante grasse, noci – collocando gli elementi della composizione in cerchio a distanze regolari su un piano di appoggio invisibile. L’assenza di ombre, il punto di vista leggermente rialzato, l’inesistenza di uno sfondo, richiamano le stampe giapponesi, in cui gli elementi dell’immagine sembrano galleggiare sulla pagina. I singoli soggetti sono definiti in maniera dettagliata, attraverso l’uso sapiente delle sfumature che suggerisce la loro tridimensionalità. La collocazione circolare dà l’idea di uno spazio concluso, senza principio né fine, che si può leggere partendo da qualsiasi punto e in ogni direzione. In Processo naturale, realizzato per la mostra, invece, a guardar bene la collocazione spaziale dei frutti si arricchisce di una notazione temporale, in un percorso dal frutto al seme, che può comunque essere letto anche al contrario. LDV

Cristina Mangini

Bari, 1988. Vive e lavora a Bari.

Ha conseguito la laurea di secondo livello nel corso di Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Bari. Ha partecipato a numerose mostre collettive in Italia e all’estero (Stoccarda, Mulhouse, Madrid, Lisbona) e a diverse residenze artistiche. Ha tenuto alcune personali e ottenuto premi e riconoscimenti. Nei suoi lavori usa di solito il pastello, l’acquerello, lo smalto su supporti diversi (carta, tela, tavola), ma realizza anche installazioni ambientali e performance.

Odissea (2019)

L’interesse di Anastasiia Morozova per la natura nasce durante l’infanzia vissuta nella città natale nella regione degli Urali a stretto contatto con foreste, laghi e fiumi e diventa il cardine della  sua ricerca, attraverso la quale compie una  serie di riflessioni sulla necessità di un rapporto armonico tra uomo e ambiente.Trasferitasi  in Puglia, è affascinata dalla sua natura  rigogliosa e dalla bellezza dei luoghi e diventa membro attivo di un’associazione che opera per la salvaguardia della biodiversità. Nasce così  nel 2018 il progetto Natura illustrata, una raccolta di  immagini di piante e di  animali, una sorta di classificazione di sapore tassonomico, in cui, pur ispirandosi alle illustrazioni dei manuali di botanica e zoologia dei secoli XVIII-XIX,  l’artista offre il proprio contributo al tema della necessità di proteggere le specie viventi del nostro pianeta. In Odissea, un trittico realizzato ad acquerello – la tecnica che predilige – sono raffigurati dei pesci, in un contesto decorativo che attualizza gli stilemi dei mosaici di tradizione bizantina delle chiese ortodosse russe. LDV

Anastasiia Morozova

Perm (Russia), 1992. Vive e lavora a Veglie (LE).

Studia presso l’Accademia di Belle Arti di Perm, specializzandosi in pittura e scultura. Nel 2014 si sposta a Parigi dove nel 2017 consegue un master di secondo livello presso l’Institut d’études supérieures des arts. Nel 2015 soggiorna per alcuni mesi a New York, dove entra in contatto con la cultura artistica americana. Giunta in Puglia nel 2017, avvia una collaborazione con la cooperativa Meditfilm e realizza lavori di grafica per Salento Km 0. Tra il 2018 e il 2019 partecipa a diverse fiere d’arte contemporanea a Bologna, Torino, Parigi, Dubai, Basilea con una galleria italiana e una americana.

Le parole e i pesci
Lia De Venere

Il mare si stendeva lontano, immenso e caliginoso,
come l’immagine della vita, con la superficie scintillante e le profondità senza luce.

Joseph Conrad

Da anni Massimo Ruiu riflette sui molteplici e a volte controversi aspetti dell’immaginario legato al mare. Lo ha fatto con modi lievi ma al tempo stesso intrisi di commossa partecipazione – usando linguaggi diversi e soluzioni minimali in cui il non detto si è fatto protagonista eloquente – attraverso l’evocazione di drammatici fatti di cronaca, dal disastro aereo di Ustica (1980) all’affondamento nelle acque territoriali montenegrine – in circostanze mai completamente chiarite – del Francesco Padre (1994), un peschereccio della marineria molfettese, sino ai recenti e sempre più frequenti naufragi di migranti nel Mediterraneo.
In alcuni dipinti con uno slittamento concettuale di indubbia intensità poetica, Ruiu dà la parola a chi ha trovato la morte in mare, a esseri umani incolpevoli, travolti da un tragico destino, come in Pensieri sommersi, in cui una sorta di testamento viene recitato sott’acqua da tante specie ittiche, mute per natura. Ogni pesce colma così il vuoto di un’assenza, facendosi custode silenzioso di un sospiro, di un rimpianto, di un addio, di un desiderio, di una domanda. Di un dolore incommensurabile e assurdo, sepolto nella profondità dell’abisso e cui noi dobbiamo rispetto, non solo pietà.
In quest’occasione l’artista ha voluto inoltre intessere un dialogo diretto con il luogo. Così sui resti dei mosaici ritrovati nella villa di età romana (fine II sec.- primi decenni I sec. a.C.), situata sulla costa molese in località Padovano, e oggi collocati nel castello, ha deciso di proiettare impalpabili forme di luce, pesci virtuali in luogo di quelli reali, che oggi probabilmente, a seguito dell’azione di erosione dell’avanzamento del mare verso la terraferma, potrebbero nuotare negli ambienti dell’antico edificio, sfigurato dal tempo e dall’azione degli uomini. Riunendo, così, in un unico affascinante palinsesto, passato e presente, storia e poesia.

MASSIMO RUIU

San Severo (FG), 1961. Vive e lavora a Roma e Monopoli.

Si laurea in Storia dell’Arte contemporanea nel 1989 a Roma e svolge la propria attività artistica ed espositiva a partire dal 1984. La sua ricerca ha come costante una tensione poetica che focalizza tematiche legate ai bisogni più intimi e profondi dell’uomo. Ha al suo attivo numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero (Londra, Skopije, Stoccolma, Santa Monica, Giacarta) in musei e gallerie private. Nel 2019 ha vinto il Premio Casciaro.